The piano teacher
CONTIENE SPOILER
Vienna, anni '80, quartiere altoborghese. Una porta che si apre. Entra la nostra protagonista, Erika Kohut, insigne docente di pianoforte al Conservatorio di Vienna, che ha commesso l'imperdonabile errore di essere arrivata a casa tre ore dopo quanto le aveva imposto la tirannica madre. La madre, sempre pronta a cogliere ogni suo minimo fallo, la scopre e la obbliga a consegnare la sua borsetta. Come un severo controllore ne fruga il contenuto, e ne tira fuori un abito firmato. Iniziano le grida: "quante volte ti ho detto di non buttare i nostri soldi al vento". Madre e figlia si contendono il vestito con rabbia, fino a che questo non si strappa. Erika, esasperata, inizia a prenderla a pugni e a tirarle i capelli, le grida addosso in preda alle lacrime che alla sua età sarà pure libera di concedersi ogni tanto un piccolo regalo. Ma alla tempesta segue la quiete: la figlia chiede scusa piagnucolando come una bambina, si avvicina all'ottantenne madre accarezzandola e abbracciandola, mentre quest'ultima la consola con sussurri di conforto.
The piano teacher affronta senza riserve il dramma famigliare di questo improprio nucleo, analizziamolo: Erika è una donna glaciale, inappagata, che ha abbandonato da tempo i propri sogni di fama nel mondo musicale e si è rassegnata ad essere una mediocre insegnante di pianoforte. Conseguenza, o forse causa, della sua infelicità è la sottomissione incondizionata alla madre, secondino inflessibile che la sorveglia in ogni aspetto della sua vita e che, con il ricatto dell'amore, l'ha indotta a non lasciare mai l'appartamento natale e a riservare solo per lei ogni cura e dedizione. La loro casa diventa così un nido d'amore quasi coniugale (non a caso dormono nello stesso letto) e un rifugio inespugnabile ai dolori del mondo esterno, per il quale la madre le ha insegnato a provare solo odio e disprezzo. "Ogni cosa là fuori, bambina mia, è cattiva, subdola e spietata. Ogni uomo ti ingannerà e ti farà soffrire". Erika crede che l'unico affetto sincero che potrà mai ricevere sia quello dell'anziana donna, la quale approfitta di questa convinzione per sottrarle via colpo dopo colpo ogni forma di indipendenza.
Alla dittatura materna la figlia reagisce debolmente, passando dalla totale abnegazione a momenti di insana rivolta, cercando disperatamente una via d'uscita. Inizia quindi l'odissea che la spingerà fino alla follia, tra masochismo (la mutilazione genitale) e fugaci episodi di voyeurismo (squallide frequentazioni di peep-show e di sexy shop); in questo rapporto morboso con la sessualità Erika si ribella a una madre che fin dalla giovinezza le ha precluso ogni contatto fisico e affettivo con qualunque uomo e trova la sua unica fuga nella perversione. Questa spirale di repressione culmina con un'invidia profonda per gli altri, un gusto sadicamente misantropo che la induce a odiare tutti coloro che si trovano al di fuori e che, a differenza sua, sembrano ingiustamente liberi e felici. In primo luogo, gli allievi, che tratta con una rigidità indicibile, colpevoli di non dedicarsi totalmente alla musica, di non sacrificare tutto della propria vita per lo studio del pianoforte, come aveva fatto lei.
Esemplare è la sequenza in cui Erika, accompagnata dalla madre, si esibisce presso l'elegante salotto di una ricca famiglia. La crème della crème di Vienna, fatta di borghesi arricchiti che ben poco apprezzano Mozart e Schumann ma che in compenso si lanciano a capofitto sui rinfreschi, scatena il disprezzo della pianista: Erika è costretta ad esibirsi come un animale da circo per illustri ignoranti che si definiscono amatori della musica ma che non ne potranno mai trarre un vero godimento, non come lei. "Sognano quello che non hanno" commenta tra sé con un sorriso di borioso compiacimento. Ma è lì che conosce un giovane, Walter Klemmer, studente di ingegneria e aspirante pianista; Walter, attratto dalla professoressa, inizia a tessere una relazione con Erika che, sin dagli esordi, si rivela fatale. Il loro primo dialogo verte attorno alla discesa verso la follia di Schumann, follia che già da subito sarà destinata ad avvolgere i due amanti. Il rapporto professoressa-allievo, cliché erotico così fortunato nella letteratura rosa e nell'immaginario sessuale collettivo, perde la sua superficialità e diventa un legame scevro da ogni sensualità per degenerare in quella corrispondenza amore-arte-distruzione che è tanto cara nel romanzo di Elfriede Jelinek.
Fin dal momento in cui Walter diventa allievo di Erika, lei inizia a imporsi come dominatrice incontrastata del loro rapporto: se da una parte il suo feroce insegnamento non si addolcisce minimamente nei confronti del giovane amante, dall'altra la freddezza di Erika non cede nemmeno agli stimoli del cuore. "Io non ho sentimenti, Walter, e anche se ne avessi per un giorno essi non prevarranno mai sulla mia intelligenza". Erika è completamente incapace di amare e sa avvicinarsi a Walter nel solo modo in cui ha conosciuto l'amore, o meglio una sua proiezione distorta: la perversione. I primi rapporti sessuali iniziano freddamente, senza passione o trasporto, con la freddezza con cui si obbedisce a uno spartito musicale. Questi riti meccanici culminano quando lei consegna allo studente una busta rossa con dentro una lettera, nella quale vi sono scritte le istruzioni che avrebbe dovuto seguire per approcciarsi a lei. Precetti che impongono forme di violenza e di masochismo, ma Erika ama davvero Walter, sebbene questo sentimento si esprima per vie del tutto devianti. Quando, infatti, Erika lo vede ridere con una giovane pianista, ecco che la vendetta dilaga in un'onda divoratrice: rompe un bicchiere e ne getta i cocci nella tasca del cappotto della rivale, colpevole solo della sua giovinezza. La mano insanguinata della ragazza segna lo scoccare di una discesa senza fine.
Una notte Walter entra in casa di Erika, e l'inviolabilità delle due donne, che a nessuno avevano mai aperto il loro rifugio, viene spezzata. Il giovane, frustrato per la storia d'amore mai vissuta con quella donna glaciale, rinchiude la madre e usa violenza verso la figlia. Il seppur labile quadro famigliare si disintegra così nel peggiore dei modi. Ora Erika ha perduto anche questo ultimo baluardo di speranza. We don't need no education: lo zelante allievo, che la maestra aveva comandato nella musica così come nell'amore, si trasforma in una sorta di carnefice che si ribella alla repressione subita e infrange il suo piccolo mondo di labili verità.
Arriva la sera del concerto in cui Erika avrebbe dovuto sostituire la giovane allieva che lei stessa aveva sfregiato. Quella sera tanti sogni che aveva ormai abbandonato sarebbero stati esaudite, finalmente sarebbe stata solo lei la protagonista della scena nella gremita sala del Conservatorio, non solo una misera insegnante di pianoforte, ma la stella. Quella sera, per una volta, la sua vita reclusa nelle tenebre avrebbe conosciuto le luci della ribalta e del riconoscimento pubblico. Ma anche quest'ultima occasione di felicità è svanita: la pianista non vuole più niente, non è più niente. Immobile, le contusioni e i lividi della sera precedente ancora marchiati sul volto inespressivo; come in un incubo, vede passare alla sua destra e alla sua sinistra spettri di persone che la salutano e che si incamminano per entrare nell'auditorium. Vede anche Walter, che le rivolge un cenno divertito, accompagnato a braccetto da due giovani donne. Finalmente è sola: estrae dalla borsetta un coltello da cucina e, con una smorfia di dolore e di liberazione, ne incide la lama sul suo petto.
Sarebbe una fine dignitosa per un'eroina d'altri tempi, che spegne con quell'amaro sollievo una storia d'amore finita male, ma Erika non è un'eroina, è solo una donna comune dei nostri tempi, triste e sola. Scopre di essere impotente, completamente inabile ad agire a contatto con qualsiasi essere umano e soprattutto con sé stessa. Scopre di non riuscire nemmeno ad uccidersi: dal seno esce solo un piccolo rivolo di sangue, parodia quasi farsesca di ben altri nobili epiloghi. Erika ripone il coltello in borsetta, si copre la ferita con la mano e con l'incedere dimesso di un fantasma vuole andarsene via, lontano da tutti. Via dalla ragazza a cui aveva distrutto il futuro da pianista, dalla madre onnipotente, via da Walter - l'unico uomo che aveva osato desiderarla - via da tutti coloro che, già seduti in platea, aspettavano le note del suo pianoforte. Il film termina nel modo opposto in cui era iniziato. Una porta che si chiude. Erika esce (forse per sempre) dal Conservatorio e si inoltra fra le fredde vie di Vienna, accompagnata questa volta solo dal silenzio della notte.
"La pianista" è strutturata come un concerto musicale, in cui note e silenzi scandiscono il tempo con la spietatezza di un metronomo. La musica non è solo un superbo contorno, ma assume un ruolo diegetico nella vicenda. Non a caso Erika confessa a Walter che Schubert e Schumann sono i suoi compositori preferiti: è sotto l'accompagnamento di una sonata di Schubert che Erika viene mostrata nella sua discesa verso la depravazione; è la musica di Schumann che risponde meglio a raccontare l'accartocciarsi di un amore malato che proprio verso la follia si trascina senza rimedio.
Haneke crea un capolavoro scomodo, nero, sardonico. Ogni atto scandaloso, ogni musica, ogni parola ed ogni silenzio acquistano una valenza dalla portata incommensurabile, sondano l'anima di Erika, come di una creatura disperata e condannata per ciò stesso alla sua disperazione. La performance della Huppert, forse quella della vita, che è come se svelasse una sua seconda personalità, un lato di sé che era rimasto nascosto, unita al genio di Haneke, ci regalano un'altra volta qualcosa che può essere afferrato solo con il cuore.
Voto: ★★★★★