Talk to me
L'horror australiano che ha riempito le sale di paura...
Gira in rete un video di alcuni ragazzi che sembrano posseduti, Mia, Riley e Jade un po' curiosi, un po' scettici, decidono di andare ad uno di questi party. Ed ecco che i demoni si fanno sentire.
Un ottimo film da sabato sera, adatto ad un pubblico ampio, è in grado di soddisfare sia chi ha un palato più raffinato e di intrattenere e ammaliare chi vuole semplicemente un bell'horror spaventoso.
Scorrevole, con una buona trama e con la giusta dose di tensione. Sa catturarti e coinvolgerti in questo delirio di eccentricità paranormale.
In post direi che i demoni sono pensati e rappresentati in modo accurato. Furbi riescono ad aggirare lo spavento che parlare con un demone dovrebbe avere, riuscendo a manipolare dall'interno la situazione e a farla virare a proprio piacimento.
Personalmente non sono un grande fan dell'horror classico occidentale che deve spaventarti per piacerti, ma esulando dal gusto personale e dal fatto che il film non è occidentale, ritengo sia un film di tensione che sicuramente non può annoiare, tiene l'occhio dello spettatore ben vigile e i riflessi pronti in attesa del jump-scare che sembra costantemente dietro l'angolo.
Uno dei temi del film è il lutto: Mia ha un disperato bisogno di sapere, le manca la madre e non è disposta a credere che sia perduta per sempre, questo li farà incappare in una serie di guai. Il secondo macro-tema è la dimensione ludica: Questo "gioco" del quale sembrano infatuarsi velocemente, si avvinghia a loro tanto che non vogliono più smettere. Ad ogni "partita" ne segue un altra, il tempo scorre, l'euforia sale e nessuno si preoccupa più di nulla, sono tutti occupati a filmare, riprendere, fotografare, e si crea così una barriera tra loro e il pericolo, il telefono. Sembra uno scherzo, tutti ridono e quindi tutti si divertono, e se ci si diverte cosa può esserci di pericoloso? nessuno sembra considerare l'eventualità che qualcosa vada storto. Ed è, a mio parere, proprio questo atteggiamento quello che rende i ragazzi facilmente fascinabili dal gioco d'azzardo, si inizia per un qualche motivo, ci si diverte, ci si innamora. A questo si somma la possibilità di fare soldi che, col tempo smette di essere una motivazione, e diventa piuttosto una scusante: "devo rientrare con i soldi", "se me ne vado ora si prendono i miei soldi" ecc.. di certo è un tema complicato da trattare, proviamo ad approfondire nella sezione affianco.
Ludos e Luctus
La dimensione ludica ti inserisce in un loop spazio-temporale apparente, ti sottopone ad un infinita serie di choc, singoli eventi casuali al quale la psiche reagisce attraverso la coscienza. Uno choc ben respinto diventa esperienza di vita. Quest'esperienza di vita può essere individuata come la scaltrezza del giocatore, la furbizia e altri caratteri. Si tratta di una saggezza del saper fare, io li chiamo uomini di mondo. La regola primaria nel gioco d'azzardo è: non importa se vinco o se perdo, in ogni caso ci sarà un altra partita. I soldi rendono questo mondo un campo caotico, una serie di choc giustificati per una questione monetaria, che con il tempo si invertono di ruolo: la questione monetaria diventa la scusante per poter continuare ad essere sottoposto allo choc. Ovviamente la questione non è così semplice, il discorso si apre sul contesto. Per esempio la questione sociale rende la dimensione del gioco gioviale, ma quando si arriva a giocare come routine, al bar, per esempio, concentrati solo sulla kinetta, e con uno sguardo sulla sigaretta e sull'amaro, solitamente ad orari equivoci che potrebbero anche coinvolgere stati psco-fisici alterati, la dimensione sociale ovviamente scompare. La vivacità e il calore diventano freddo distacco, e chi si trova da esterno coinvolto in questa dinamica viene completamente buttato fuori dall'atmosfera sociale, e dal divertimento. È come non comprendere la lingua di chi è affianco a te. Nel film nessuno esce dalla situazione, tutti sono e paiono estasiati, tanto che un inquietantissimo incontro con un demone che minaccia Riely, passa subito dalla mente a tutti, nessuno più si interessa alla cosa, e Riley pagherà.
Ritornando al lutto, invece, possiamo paragonarlo alla perdita, come essa è uno stato psicologico con cui tutti prima o poi dobbiamo fare i conti. Se la perdita è una prassi adolescenziale, come il lasciarsi con la fidanzata, il lutto si carica di potenze differenti. La struttura della perdita può essere riassunta così: amo un oggetto, perdo l'oggetto amato, e ogni giorno mi sveglio senza di esso consapevole del fatto che potrebbe essere qua, ma che non può o non vuole essere qua. La paura deriva dalla possibilità, o di non rivedere più quell'oggetto, o di rivederlo sapendo di non poterlo comunque riavere. Il lutto fa un passo in più rispetto alla perdita, il lutto presuppone che l'oggetto amato non esista più, e perciò non c'è possibilità di rivederlo, di riaverlo. L'oggetto amato non si allontana da te, scompare lasciando un vuoto che, a differenza della perdita, non si può colmare. Al lutto segue quindi la rassegnazione, non potrò più interagire con te, mentre alla perdita può seguire la voglia di riscatto, il tentativo vitalistico di riappropriarsi dell'oggetto. Mia in questo caso affronta il lutto come fosse una perdita, tenta invano di riavere la madre, convinta che ci sia un modo anche solo per poter parlare con lei, purtroppo il prezzo da pagare, per chi le orbita attorno, è salato.