Smetto quando voglio
"Non devono imparare una lezione, siamo noi nel mondo reale che dobbiamo accorgerci di quello che non va e cambiarlo"
Dato che il tema di questo mese è "La Commedia" ed è da tempo che voglio parlare di questo film, eccomi qua, pronto a portarvi una recensione di "Smetto quando voglio", film commedia del 2014 diretto e scritto da Sydney Sibilia.
Sono così interessato a questo film perché mi ha colpito e continua a stupirmi ogni volta che lo vedo. Una pellicola che non smette di risultare atipica, strana, che sembra essere girata male o uno stravagante esperimento.
Una storia già vista (?)
Partiamo dall'introduzione (senza spoiler) dei personaggi e della loro storia: un gruppo di laureati quarantenni che non riesce a vivere con ciò che ha studiato decide di entrare nel giro della droga, e dato che sono tutti dei cervelloni, riescono facilmente a produrre e vendere la migliore droga sintetica di sempre.
Ricorda anche a voi qualcosa di già sentito? Beh, sì, perché è esattamente quello che accade in Breaking Bad, famosissima serie americana che nel 2014 era già finita da un pezzo. E quindi? Solo perché esiste un sosia non significa che faccia schifo, anzi, magari è ancora meglio... anche se in questo caso non è questione di meglio o peggio.
Fermiamoci un attimo a pensare al cinema americano: esagerato, grande, enorme, esplosivo, anche nelle situazioni più contenute gli americani non riescono a fare qualcosa di piccolo. E poi è tutto così serio, non c'è davvero spazio per la commedia; solo loro possono immaginare un tizio con le mutande sopra i pantaloni e prenderlo sul serio. Eppure, in qualche modo, va bene così, basta che la storia sia ambientata in America. Appena usciamo in altri paesi, infatti, scopriamo che il tono serio dell'action svanisce, risulta addirittura ridicolo. Non riusciamo ad immaginare un italiano che recita in un film d'azione senza fare battute, e se ci provasse verrebbe preso in giro, proprio come accade nel film.
I protagonisti stessi ridono quando la situazione diventa troppo "all'americana", citando appunto serie e film d'oltre oceano. Magari la situazione è seria, ma i personaggi devono agire a modo loro, non imitando qualcun altro. E Sydney Sibilia ha perfettamente capito questo meccanismo, ha capito che in Italia le imitazioni funzionano solo come commedia, quindi via a scrivere battute mentre i personaggi rischiano la vita.
Ricordiamoci che la comicità è diversa dalla stupidità. Un film comico può trattare temi importanti e un film stupido può non far ridere. In Smetto quando voglio il tono comico non toglie nulla alla situazione che vivono i personaggi: da spettatore si percepisce tutta la pericolosità dello spaccio di droga.
Tutto così strano
Rimane però una questione estetica che forse è la più discutibile. Le inquadrature hanno un filtro giallo molto intenso, rendendo tutto surreale, troppo acceso. E i protagonisti sono troppo vecchi per un film che vorrebbe intrattenere i più giovani. Qualcosa non torna: che l'intero film sia un esperimento del regista?
Non penso, data la sicurezza che Sibilia a mostrato nel voler fare altri due capitoli sequel. La trama, il filtro surreale, il tema della droga, sono tutte cose per giovani, da serie Netflix; il cast invece serve per attrarre un pubblico più adulto. Una mossa che ha portato ragazzi e adulti alla visione del film.
A parer mio, il regista ha semplicemente osato fare qualcosa che imitasse il già visto e non ha fatto nulla per nasconderlo. Ci ha detto "Inutile pretendere che sia una novità, quindi mi concentro sul come io ho interpretato ciò che c'era già. Godetevi un Breaking Bad dove i personaggi non se la tirano e dove la criminalità è meno eccentrica". Ha voluto fare una "americanata" senza risultare stupido.
Incredibilmente però, ciò che risulta più strano è la normalità dei personaggi, i quali si comportano come faremmo tutti. Si arrabbiano, si innamorano, fanno cazzate come tutti. Non ci sono eroi, non ci sono protagonisti che prendono le redini della trama. Semplicemente, all'italiana aggiungo, il film si conclude con dei sopravvissuti che in qualche modo hanno affrontato il problema.
Serviva qualcosa di nuovo
Per quanto la trama non sia una novità, il film nel suo insieme è insolito, un prodotto che attira l'attenzione in mezzo a tanti altri tutti uguali. Magari ha i suoi difetti, ma ci si affeziona ai personaggi, si vuole scoprire come se la caveranno, si sta attenti alle varie citazioni... insomma, tanta roba che compensa ciò che non va.
La novità si trova soprattutto in due cose: l'ambientazione e il finale.
Roma serve solo per dare un luogo alla sstoria. Non è fondamentale per capire la trama, potremmo infatti trasporre le vicende in un'altra città, ma anche in un piccolo paese, e tutto funzionerebbe perché ciò che conta sono i personaggi e il pericolo che man mano si avvicina.
Il finale invece lascia qualcosa di strano allo spettatore. Il cinema italiano ha la caratteristica di non avere lieto fine: ogni storia si conclude non sempre come vorremmo, ma almeno i personaggi hanno imparato una lezione e devono rimettersi in carreggiata perché la vita va avanti, non sta a festeggiare un ipotetico finale accomodante.
In Smetto quando voglio il finale è identico all'inizio, non c'è un lieto fine e nessuno ha davvero imparato la lezione. Fin dal primo atto tutti sapevano che spacciare droga li avrebbe messi nei casini, quindi alla fine non hanno imparato nulla, hanno semplicemente ripreso a trovare un altro lavoro e si sono promessi di non farlo più, tutto qui.
Dato che la causa scatenante della trama è la situazione dei laureati in Italia (la stessa che alimenta la fuga di cervelli all'estero) il film non può concludersi se essa non cambia. Finché c'è un pretesto per muovere i protagonisti, questi continueranno sulla loro strada. Non devono imparare una lezione, siamo noi nel mondo reale che dobbiamo accorgerci di quello che non va e cambiarlo, solo allora non ci sarà più motivo per la "banda dei ricercatori" di continuare a spacciare droghe sintetiche legali.
Valutazione:
★★★★★★★★☆☆
di Andrea Brevi