L'ultima sigaretta

17.04.2025
Oggi, 2 Febbraio 1886, passo dagli studi di legge a quelli di chimica. Ultima sigaretta.

Nel cuore della letteratura del Novecento, uno dei temi più potenti e inquietanti è quello dell'inettitudine, una condizione esistenziale che travolge e disorienta i protagonisti di alcuni dei romanzi più significativi di autori come Svevo, Pirandello, Tozzi, Musil e Kafka. L'inetto non è solo un fallito, ma l'emblema di un'umanità smarrita, intrappolata in quell'ultima sigaretta, in un mondo che sembra non lasciare scampo: un mondo dove l'individuo, piccolo e insignificante, è sopraffatto dalla macchina impietosa della modernità. Questo archetipo, simbolo di passività, rifiuto e alienazione, rappresenta la fragilità dell'essere umano di fronte alla velocità e alla crudeltà di una società che esige adattamento. Ma l'inetto, lungi dall'essere un semplice perdente, è anche un punto di resistenza, una forma di rifiuto tacito contro l'omologazione e l'arroganza di un mondo in continua corsa verso il progresso.

I romanzi di questo periodo, attraverso le voci dei loro personaggi, incarnazioni degli autori, non raccontano solo il dramma dell'incapacità di vivere, ma anche una lotta sotterranea, intima, contro l'alienazione di un'epoca che sembra non concedere alternative. Eco di una generazione schiacciata, l'inettitudine è anche possibilità di riappropriarsi della propria umanità, nella consapevolezza che solo nel fallimento si cela la verità della vita moderna. Per Musil o ci si adatta come un lupo, o si finisce per diventare nevrotici. E questo è precisamente il dramma dei protagonisti sveviani: Alfonso Nitti, Emilio Brentani e Zeno Cosini, vittime di una lotta interiore tra l'aspirazione a un'esistenza autentica e la dura realtà che li costringe alla passività e all'autodistruzione.

Protagonista del romanzo Una Vita, Alfonso Nitti, l'uomo che vorrebbe poter vivere due vite: una per sé e l'altra per gli altri, rappresenta l'uomo che tenta di sfuggire alla propria condizione attraverso il sogno della letteratura. La sua è una lotta che sembra senza speranza. Nato in un contesto familiare e sociale che lo costringe alla frustrazione e alla passività, Alfonso cerca nella scrittura una via di salvezza, ma il suo talento non è sufficiente a liberarlo dalla propria abulia. La sua inettitudine non deriva tanto da una natura debole, quanto da un conflitto irrisolto con figure di potere come il padre e il rivale Macario, che incarnano il successo nella società. Intrappolato in un'esistenza senza slanci, in cui la letteratura non è mai abbastanza per dargli la forza di cambiare la sua vita, ad Alfonso non rimane che osservare i gabbiani solitarii, ognuno volando per proprio conto.

Se Alfonso è frutto di una natura che non si adatta, Emilio Brentani di Senilità incarna invece l'inetto che si crea attraverso una scelta consapevole e, forse, addirittura un atto di autolesionismo. Emilio è un uomo che, pur avendo una certa sensibilità, sceglie di abbandonarsi al conformismo borghese. La sua esistenza è grigia e priva di slancio, e la sua inettitudine è il risultato di un'interiorizzazione delle convenzioni sociali che lo costringono a rinunciare ai propri desideri e alla propria autenticità. Il conflitto che Emilio vive non è più con la società, ma con sé stesso: la sua incapacità di vivere pienamente le sue pulsioni e di affrontare la realtà lo porta a un fallimento esistenziale dal momento che non sa riconoscere l'opportunità di cambiare, preferendo mantenere il suo status quo, fatto di egoismo e paura. Così, la sua vita scivola via, anche là, nel turbine, nelle onde di cui una trasmetteva all'altra il movimento che aveva tratto lei stessa dall'inerzia, senza che riesca mai a coglierla nel suo pieno potenziale.

E solo nel 1923 prende vita Zeno Cosini, il personaggio-emblema de La Coscienza di Zeno, il personaggio più complesso e ambiguo fra quelli creati da Svevo. A differenza di Alfonso ed Emilio, la sua inettitudine non è solo una questione di incapacità psicologica o sociale, ma anche una forma di autoanalisi che diventa un modo per mettere in discussione le certezze della società borghese. Zeno appartiene a una classe privilegiata, ma non riesce a prendere in mano le redini della sua vita. La sua autoanalisi, però, non lo porta mai a una chiarezza interiore. Zeno, al contrario, mette in dubbio ogni verità, anche quella più evidente, rendendo ogni situazione sfocata e ambigua.

... che io forse abbia amato tanto la sigaretta per poter riversare su di essa la colpa della mia incapacità? Chissà se cessando di fumare io sarei divenuto l'uomo ideale e forte che m'aspettavo? Forse fu tale dubbio che mi legò al mio vizio perché è un modo comodo di vivere quello di credersi grande di una grandezza latente.

La sua inettitudine diventa, quindi, il mezzo attraverso il quale Svevo smaschera la "salute" e la "normalità" della società borghese, mostrandole nella loro apparenza vuota. Eppure, alla fine del romanzo, Zeno non è condannato al fallimento come i suoi predecessori. Dopo la morte del padre e la maturazione di un rapporto diverso con la moglie, Zeno trova finalmente un modo per adattarsi alla realtà diventando un clinico profittatore di guerra, un uomo che si integra nel contesto corrotto della guerra per raggiungere il successo, nella convinzione che la salute non analizza sé stessa e neppur si guarda nello specchio. Solo noi malati sappiamo qualche cosa di noi stessi. La sua inettitudine si trasforma, quindi, in un'opportunità per navigare nelle contraddizioni della vita moderna. La sua inettitudine nell'ottica sveviana non è una condanna definitiva, ma una fase di transizione, un abbozzo di uomo che, pur vivendo in una società alienante, mantiene la possibilità di un riscatto. L'inetto, per Svevo, diventa quindi un simbolo di resistenza, una figura che non si arrende passivamente al sistema, ma che, attraverso il suo stesso fallimento, svela le contraddizioni di una civiltà che non lascia spazio all'individualità autentica.

(Il contenuto di questo articolo è stato sviluppato sulla base della lettura delle pagine critiche di Romano Luperini)