L'evoluzione della Disney dal 1937 a oggi

04.12.2023

Dagli anni '30 fino ai giorni nostri, l'infanzia di ogni bambino del mondo non poteva dirsi completa senza l'iniziazione al Cinema Disney, che nel corso del tempo è diventato sinonimo di Cinema d'Animazione tout court.

Oggi questo risulterebbe essere un giudizio limitativo e offensivo: lo è nei confronti dei capolavori del cinema d'animazione nipponico che si è affermato con prepotenza nell'ultimo trentennio (da Isao Takahata a Hayao Miyazaki, passando per Mamoru Oshii, Katsuhiro Otomo e Satoshi Kon), ma che in un qualche modo, anche per la complessità delle trame, si rivolgevano a un certo tipo di pubblico adulto ancora prima che a quello fanciullesco. E lo è anche nei confronti della stessa Disney: ai giorni nostri i Classici Disney costituiscono solo una delle tante divisioni in cui è articolata la Walt Disney Company, multinazionale che è riuscita nel corso degli anni a estendere il proprio raggio d'azione su tutti i campi dell'intrattenimento moderno, dall'animazione digitale ai lungometraggi live action, dai parchi a tema alle emittenti televisive.

Ma un tempo, in particolare durante gli anni di vita del suo fondatore Walter Elias Disney, la sezione dei cosiddetti Classici rappresentava a tutti gli effetti il più grande contributo che fosse mai stato offerto al cinema di animazione statunitense e mondiale, nonostante il fenomeno degli "animated cartoons" avesse già avuto origine e diffusione sin dai primi anni del XX secolo; basti pensare a celebri personaggi come Popeye e Betty Boop, e ad autori quali McCay e i fratelli Fleischer.

La linea storica parte da Biancaneve e i sette nani del 1937 e in questi settant'anni e più si sono alternate epoche storiche e correnti artistiche che, all'interno della stessa Walt Disney Pictures, hanno reso possibile una chiara demarcazione di diverse fasi creative e una conseguente suddivisione critica in ere.

Si possono identificare all'interno della casa di produzione cinque grandi macroaree, cinque periodi storici nell'ambito dei quali i lungometraggi realizzati risultano essere accomunati da specifiche caratteristiche, sia a livello di forma che di contenuto, che hanno sempre reso i classici riconoscibili agli occhi del pubblico e che ancora oggi, fanno sì che essi possano essere ricondotti con una certa facilità alla relativa fase storica di appartenenza.

La prima fase del ciclo Disney è per definizione quella classica, la cosiddetta epoca d'oro. Si può far coincidere questo primo periodo con la vita e l'opera di "papà" Walt, che aveva direttamente prodotto tutti i titoli dal 1937 al 1966, supervisionandone la realizzazione in prima persona. Da Pinocchio a Cenerentola, da Peter Pana La bella addormentata nel bosco, da Alice nel paese delle meraviglie a La spada nella roccia, da Dumbo a La carica dei 101, da Bambi a Lilli e il Vagabondo: ognuna di queste opere è dotata di un'aura magica e di un fascino immortale, che avevano permesso a critica e spettatori dell'epoca di indicare nella figura di Walt Disney il più importante cineasta di tutti i tempi nel campo del cinema d'animazione.

L'avvento dei Classici Disney si inseriva nel più generico quadro del cinema narrativo hollywoodiano, che a quel tempo era già al suo apice. I lungometraggi animati targati Disney avevano quindi come prima esigenza quella di rispettare tutte quelle regole e quegli stilemi, definiti appunto classici, che avevano attirato nelle sale americane spettatori di ogni strato sociale e che costituivano il punto di riferimento per ogni addetto ai lavori. Così come implicavano, sul piano meramente contenutistico, storie dall'andamento lineare, personaggi squisitamente stereotipati in cui identificarsi (il principe coraggioso, la bella principessa da salvare, un cattivo da sconfiggere) e l'immancabile lieto fine con il trionfo del bene sul male, intesi nella loro accezione più generica. Allo stesso modo, sul piano strettamente tecnico, essi cercavano anche di rispettare il cosiddetto decoupage classico assimilando quindi i principi teorici che governavano ogni aspetto della produzione di un film, dall'uso armonioso delle inquadrature alla regia invisibile, passando per il montaggio analitico.

Molte di quelle storie avevano un vero e proprio impianto narrativo fiabesco, in cui l'elemento fantasy, testimoniato dalla presenza di incantesimi, mostri e, soprattutto, di fate e maghi/e (Azzurra in Pinocchio, Smemorina in Cenerentola, Merlino ne La spada nella roccia, Malefica ne La bella addormentata nel bosco, ecc.) ben si sposava con l'esigenza di un buon divertissement infantile, da sempre priorità essenziale nella filosofia disneyana.

Nel quadro della Hollywood classica degli anni '30 e '40, risulta facile capire come Disney sia stato certamente una delle figure, alla pari di Frank Capra o di Howard Hawks, che più sono riuscite a cogliere e a far loro lo spirito cinematografico del tempo, pur senza mai perdere una certa indole di sperimentazione, non così scontata per l'epoca. Emblematico a questo proposito è il caso dei cinque film collettivi a tecnica mista realizzati consecutivamente dal '42 al '48: Saludos Amigos, I tre caballeros, Musica Maesto, Bongo e i tre avventurieri e Lo scrigno delle sette perle; ma anche, e soprattutto, del precedente Fantasia (1940), straordinario terzo lungometraggio che cercava di unire le idee delle avanguardie europee con il modello commerciale Made in USA, e in cui la narrazione di ogni singolo episodio era accompagnata da pezzi di musica classica diretti dal Maestro d'orchestra Leopold Stokowski.

Il cambiamento della società e della cultura statunitense di inizio anni '60 si rifletté inevitabilmente anche sul cinema, e la venuta della televisione nel mercato contribuì a far precipitare in una profonda crisi l'intero sistema hollywoodiano, compreso dunque quello d'animazione. Se per la pellicola tradizionale questo significava un'esigenza di un rapido cambiamento, che sarebbe poi stata bene impersonata dalla generazione di nuovi talentuosi registi della New Hollywood, alla Disney al contrario, complice anche la tragica scomparsa di Walt nel '66, le cose andarono diversamente e un processo di rinnovamento faticò a compiersi.

Con l'uscita de Il libro della giungla nel 1967, il diciannovesimo lungometraggio che può essere considerato quindi come l'ultimo dei Classici in senso stretto, si aprì per la casa di animazione un difficile periodo di crisi, protrattosi per circa un ventennio. Senza la presenza carismatica di Walt Disney, i nuovi animatori e registi sembravano sperduti, come un gregge senza pastore.

L'incertezza interna si riversò sullo scarso rendimento commerciale dei film, che nonostante avessero comunque continuato a far breccia nel cuore dei più piccoli (chi non è affezionato a Robin Hood o a Gli Aristogatti?), risultavano qualitativamente inferiori ai classici dei decenni precedenti. In particolare, erano la qualità del disegno e la profondità delle storie a risultare ridimensionate, palesemente lontane dai fasti del passato: potremmo definire questa fase storica Medioevo Disney.

Fu un periodo di transizione difficilmente inquadrabile, che registrò in primis un netto allontanamento degli spettatori, i quali iniziarono a rivolgere la propria attenzione ad altri celebri film d'animazione dell'epoca. Le vicissitudini della casa di Burbank, infatti, si intrecciavano in quel periodo con il lavoro di Don Bluth, che negli anni '80 girò i suoi due film più famosi con la Sullivan Bluth Studios destinati a riscuotere maggior successo rispetto ai coevi classici Disney: Fievel sbarca in America e Alla ricerca della valle incantata.

Fu certamente uno dei punti più bassi di tutta la storia della Disney.

La debacle servì da scossa decisiva, che fece risvegliare i produttori dal loro torpore creativo e ritrovare lo smalto perduto di un tempo; fu proprio Oliver & Company il titolo che in un certo senso sancì la fine di questo secondo periodo e che allo stesso tempo funse da punto di partenza per il successivo, soprattutto grazie alla sua inusuale abbondanza di pezzi cantati, che gli fece comunque attirare critiche positive e che avrebbe preparato il terreno per il magnifico Rinascimento Disney. Anche per questo oggi, riflettendo sul Medioevo Disney, molti spettatori non riescono comunque a disdegnare i titoli che ne hanno fatto parte. Analizzando questo periodo con gli occhi del nuovo secolo, in effetti, si sente comunque l'esigenza di una rivalutazione dettata più che altro dall'affetto che lo spettatore degli anni '80 e '90 ha continuato imperterrito a nutrire nei confronti di questi titoli.

Dovendo avere invece uno sguardo prettamente critico, la sensazione è che la pur innegabile bellezza di singoli e precisi momenti delle pellicole, come ad esempio la separazione della piccola volpe Red dalla sua anziana padrona in Red & Toby, che resta uno dei momenti più toccanti dunque emotivamente più efficaci nella storia dei Classici, o lo scontro finale all'interno del Big Ben tra Basil e il malvagio Rattigan in Basil l'investigatopo, che è certamente degno di un moderno film d'azione, sia per spettacolarità che per ambientazione, non riesca comunque a garantire nel loro insieme un livello qualitativo ottimale in confronto ai classici del periodo precedente. Titoli deboli quali Taron e la Pentola Magicae Le avventure di Winnie the Pooh non riuscirono mai a far pienamente breccia nei cuori degli spettatori; e furono per questo dimenticati in fretta. Detto ciò, nulla vieta che possano comunque essere apprezzati nella loro interezza, anche grazie a un certo fascino vintage che essi conservano. Oggi si tende ad essere benevoli nei loro confronti e a considerare il periodo in questione come intermezzo, piuttosto che come una crisi di idee vera e propria. 

Si tende a far terminare questo periodo nel 1989, con l'uscita al cinema del grande successo La Sirenetta.

Se il periodo precedente era stato ribattezzato Medioevo Disney, questo ha segnato a buon merito il Rinascimento della casa d'animazione. I produttori hanno capito che serviva un cambio di strategia, una svolta radicale sia nelle forme che nei contenuti, per poter riportare in sala gli spettatori e riappropriarsi di nuovo di quella magica aura nella quale la major era stata avvolta per tutti i suoi primi trent'anni di vita. I produttori hanno messo in gioco vari meccanismi per riavvicinarsi al pubblico, tra questi le mosse vincenti sono state non poche:

1) Le canzoni e la soundtrack

Credo che nessuno si possa scandalizzare se questi film venissero definiti come dei musical animati: una media di cinque-sei canzoni per titolo, che diventano quindi parte attiva della narrazione e non fungono solo da semplice cornice. Un ritorno alle origini, per certi aspetti, perché c'è da precisare che anche i pezzi musicali di Cenerentola o Biancaneve erano rimasti impressi nella mente, ma è indubbio che qui il passaggio avvenga in un modo ancora più esasperato.

Vennero chiamati autentici giganti del mestiere a comporre musica e testi, da Elton John a Phil Collins, passando per Hans Zimmer, Alan Menken e Tim Rice. La scelta venne premiata: oltre 20 nomination totali ai Premi Oscar in dieci anni e ben 11 statuette conquistate, contando appunto le categorie di Miglior Canzone Originale e Miglior Colonna Sonora. L'unico Oscar vinto in carriera da Hans Zimmer fu proprio quello del 1995 per Il Re Leone, oserei dire paradossalmente.

2) Una nuova generazione di talentuosi registi/animatori

Spiccano gli eclettici e prolifici Ron Clements e John Musker, che resero il disegno meno spigoloso rispetto al passato e maggiormente riconoscibile.

3) Le sceneggiature

Nel mettere a punto le sceneggiature presero a modello celebri opere preesistenti, conosciute e già apprezzate da una moltitudine di appassionati in tutto il mondo: dalle fiabe di Andersen al mito di Ercole, dalle novelle de Le mille e una notte al ciclo di romanzi di Tarzan, passando per il Notre-Dame de Paris di Victor Hugo.

4) I non protagonisti

L'aver dato vita a splendidi personaggi secondari, usati come spalle comiche ed entrati nella memoria collettiva, in alcuni casi anche in maggior misura rispetto ai protagonisti veri e propri: Lumière, il Genio, Mushu, Sebastian, Timon e Pumbaa.

5) L'universalizzazione e la modernizzazione delle storie

Un eroe arabo in Aladdin; un'eroina cinese in Mulan, la prima "principessa" Disney a non essere "salvata" dal solito principe azzurro; gli animali non antropomorfizzati protagonisti assoluti per la prima volta, ne Il Re Leone; una guerriera nativa pellerossa in Pocahontas, primo film che vede personaggi di colore tra i protagonisti. Le risposte di pubblico e critica furono entusiasmanti: in poco tempo la Disney si era ripresa lo scettro di major dominante nel cinema d'animazione.

L'incredibile successo del Rinascimento Disney è testimoniato da due eventi in particolare: la nomination all'Oscar come Miglior Film per La Bella e la Bestia all'edizione 1992; e il record d'incassi vicino al miliardo di dollari per Il re leone, che divenne il film d'animazione tradizionale di maggior successo economico di sempre.

Furono dieci anni incredibili: per coloro nati tra la fine degli anni '80 e l'inizio dei '90 titoli quali Aladdin, Il re leone, La sirenetta, Hercules, Il gobbo di Notre Dame o La Bella e la Bestia furono immediatamente riconosciuti come fondamentali per la corretta formazione cinefila di ogni bambino.

I progressi tecnologici, inoltre, permisero la realizzazione di alcune straordinarie scene d'azione, impossibili da realizzare fino a qualche decennio prima. Esemplare il caso di Mulan, la cui battaglia sulla neve resta una delle sequenze di animazione più spettacolari del decennio, o di Tarzan, per cui l'animatore ricreò al computer le acrobazie di un noto snowboarder freestyle per ricreare quelli stessi movimenti che il ragazzo-scimmia avrebbe compiuto sugli alberi e tra le liane. E fu proprio Tarzan nel 1999 il titolo di coda che chiuse trionfalmente il decennio.

Dall'uscita successiva, la Disney sarebbe stata costretta a rimettersi totalmente in gioco. Arriviamo così alle porte del 2000.

Se immaginassimo l'intera filmografia dei Classici Disney come un parco attrazioni, questa quarta fase storica che definiremo della Sperimentazione e che copre tutta la prima decade del nuovo millennio sarebbe equiparabile alla più impervia delle montagne russe. Analizzando i film realizzati dal 2000 al 2009, infatti, è facilmente constatabile una indubbia discontinuità artistica, unitamente alla rottura di schemi storici.

In primis, viene meno uno dei più importanti tòpoi narrativi che era sempre stato al centro dell'intera produzione Disney: la storia d'amore tra il principe e la principessa, tra l'eroe e l'eroina, tra il protagonista e la protagonista. Viene posta maggiormente l'attenzione sulle storie individuali e si tende dunque a intraprendere percorsi alternativi mai battuti in precedenza, sia nei contenuti che nelle forme.

Parlando di forma, non si può non cominciare con il nominare Dinosauri, il primo Classico Disney in assoluto a essere realizzato interamente con la computer grafica e il secondo, dopo Il re leone, ad avere come protagonisti esseri animali non antropomorfi.

Come non parlare poi de Il pianeta del tesoro, il primo Classico Disney fantascientifico, sempre poco citato nei discorsi sui Classici. Prendendo spunto da una storia già conosciuta come L'isola del tesoro di Robert Louis Stevenson, i produttori e il regista ebbero la geniale idea di modernizzarla e attualizzarla ai tempi correnti, trasportando trama, personaggi e dinamiche nello spazio profondo andando così incontro ai gusti dei millennial, anche grazie a straordinari effetti visivi che abbelliscono oltremodo la già coinvolgente narrazione.

E che dire di Atlantis, che ha rinnovato i canoni dell'avventura animata e che ha cercato di rivolgersi anche a un pubblico adulto, attraverso legami con i romanzi di Jules Verne, scene di violenza esplicita e personaggi dalla dubbia integrità morale? Nel ricavare la sceneggiatura del film era stata presa a modello direttamente l'omonima opera di Platone e, al di là delle opinioni che si hanno in merito, è evidente come anche questo film, assieme a Il pianeta del tesoro sopracitato, strizzi l'occhio all'ampia cerchia di appassionati di una certa fantascienza anni '90.

E ancora, le commedie semplici e a basso budget come Lilo & Stitch e Le follie dell'imperatore, entrambe caratterizzate da ambientazioni essenziali, durata limitata e assenza di qualsivoglia tecnicismo formale (a cui al contrario eravamo stati abituati in passato) che registrarono un cambio drastico rispetto al disegno delicato e rassicurante del decennio precedente.

Il primo titolo del periodo sembrava invece porsi in linea diretta con il passato: il riferimento è ovviamente a Fantasia 2000, una specie di remake/spin-off del film originale del 1940, nel quale da una parte si attuava una sorta di adattamento all'epoca coeva (vedi l'episodio delle megattere, di chiaro stampo ambientalista) e dall'altra si cercava di conservare lo spirito originario dell'opera, cercando di raccontare le storie dei vari episodi attraverso un calibrato uso della musica classica e ammiccando sia ai nuovi che ai vecchi spettatori. Fantasia 2000 è in effetti il titolo che più di tutti gli altri simboleggia l'eterogeneità di tale ciclo.

Tuttavia, per quanto alcuni fossero davvero meritevoli di lode, i film di questa fase non riuscirono mai in generale a ottenere esiti soddisfacenti al box office e a entrare a pieno nella memoria collettiva degli spettatori, soprattutto rispetto alle opere degli appena trascorsi, gloriosi anni '90. Un presagio di quello che sarebbe accaduto per tutto il lustro successivo.

Nel 2003, con l'uscita al cinema del pur lodevole Koda, fratello orso, fu ufficiale l'inizio di una nuova fase di crisi per la major, come era già successo nel periodo di transizione quando morì Walt Disney: una crisi economica e di idee. Titoli mediocri come Mucche alla riscossa, Chicken Little, I Robinson e Bolt non ottennero i risultati sperati, anzi incontrarono lo sfavore di critica e pubblico ed è emblematico come ancora oggi essi vengano considerati come le "pecore nere" della casa d'animazione o, in casi estremi, risultino addirittura sconosciuti. Storie poco entusiasmanti e personaggi dalla scarsa introspezione psicologica: per la seconda volta nella storia della Disney si verificò un significativo allontanamento anche da parte del suo pubblico più fedele, che scelse di premiare gli sforzi della nascente casa d'animazione concorrente, la DreamWorks, fondata tra gli altri da Steven Spielberg e, caso vuole, da un ex animatore disneyano, Jeffrey Katzenberg.

Esattamente come durante il Medioevo Disney degli anni '70 e '80 giovani e adulti si erano riversati nelle sale per vedere Fievel sbarca in Americae Alla ricerca della Valle Incantata, allo stesso modo a inizio millennio furono i vari Shrek, Madagascar, Kung Fu Panda e Dragon Trainer a macinare una grossa fetta di popolarità e a vincere la sfida a distanza. A questi vanno poi aggiunti validi titoli come L'era glacialee I Simpson (successoni della 20th Century Fox), i capolavori del cinema nipponico targati Studio Ghibli, la cui fama aveva varcato l'Europa ed era giunta anche negli Stati Uniti (La città incantata venne addirittura premiato con il Premio Oscar nel 2003) e altre opere varie, prodotte da case di produzioni minori e/o indipendenti (come il bellissimo Coraline e la porta magica della Laika).

In pochi anni in casa Disney la divisione Classic divenne il parente brutto, lontano e sfigato della Pixar, che al contrario era meritatamente in ascesa sin dalla fine del secolo grazie a gioielli computerizzati quali Toy Story, Monsters & Co., Alla ricerca di Nemo, Gli Incredibili, Wall•E, Up.

Serviva insomma un cambio di rotta immediato, una nuova rivoluzione, che si sarebbe verificata solo a partire dalla stagione 2009-2010.

Prima di parlare dell'ultima fase, quella contemporanea, urge una precisazione: sono assolutamente consapevole che per poter analizzare al meglio un determinato periodo storico bisognerebbe guardarlo da lontano, solo una volta terminato. Detto ciò, sono comunque ravvisabili alcuni tratti essenziali comuni, che si può dire caratterizzino quest'ultimo ciclo, definito a più riprese di Restauro:

1) L'influenza della Pixar, sia nella forma che nei contenuti

Emblematico il fatto che in quasi tutti i film di questo periodo ci sia lo zampino anche di John Lasseter, il direttore creativo della Pixar nonché naturale erede di Walt Disney, nelle vesti di produttore o produttore esecutivo. Un tipo di ruolo che ha poi cessato di ricoprire a seguito delle accuse di molestie sessuali che l'hanno costretto ad abbandonare definitivamente l'azienda.

2) Una rivoluzione narrativa

Le storie raccontate sono emotivamente più coinvolgenti rispetto alla fase antecedente e ricche di spunti e riflessioni sulla società odierna; le trame sono ben articolate e dotate di profondi (e nemmeno troppo nascosti) messaggi di fondo. Il diritto a essere se stessi e l'assenza di una distinzione manichea tra buoni e cattivi per natura in Ralph Spaccatutto; il tema del razzismo bianchi/neri e la paura del diverso in Zootropolis; la possibilità di ottenere la vita dei propri sogni malgrado il destino ti abbia dato in mano carte perdenti ne La principessa e il ranocchio, in cui la principessa in questione, tra l'altro, è in assoluto la prima protagonista afroamericana di un Classico Disney; il sacrificio in nome dell'amicizia in Big Hero 6; il messaggio ecologista in Oceania. Non c'è più spazio, dunque, unicamente per le risate, ma anche per momenti di sincera commozione e riflessione; questo attento equilibrio è uno dei principali fattori che hanno consentito il successo degli ultimi film.

3) Gli incassi vertiginosi

Era dai tempi de Il re leone che nella sezione Classic della Disney non si registravano cifre di tale portata: sono addirittura due i film ad aver superato il miliardo di dollari di incasso: Frozen - Il regno di ghiaccioe ZootropolisFrozen, in particolare, con il suo miliardo e 280 milioni di dollari arrivò a segnare il record come film di animazione con il più alto incasso della storia del cinema. 

4) L'investitura ufficiale da parte dell'establishment americano, attraverso la vittoria dei premi più ambiti

Negli ultimi anni sono arrivati in totale quattro Premi Oscar e due Golden Globe. La vittoria nel 2015 nella categoria Miglior Film di Animazione in particolare fu clamorosa, visto che Big Hero 6 dovette superare la concorrenza dei più quotati Dragon Trainer 2 e The LEGO MovieDa segnalare inoltre anche la vittoria dell'Oscar per la Migliore Canzone Originale da parte di Let It Go di Frozen, singolo cantato da Idina Menzel, che il 15 febbraio 2017 ha toccato la soglia di un miliardo di visualizzazioni su YouTube, record assoluto per una canzone di un film animato. Era dall'edizione 1995 con Can You Feel the Love Tonight firmata Elton John e Tim Rice, che mancava in bacheca la statuetta di questa categoria.

5) Le ambientazioni fantasiose, colorate e variegate

La New York animalesca di Zootropolis; il regno di ghiaccio di Frozen; la metropoli futuristica di Big Hero 6, un incrocio tra Tokyo e San Francisco; la splendida New Orleans di inizio '900 de La principessa e il ranocchio; la Mitteleuropa, tipica dei fratelli Grimm di Rapunzel; lo sfondo videoludico di Ralph Spaccatutto; l'affascinante continente oceanico di Oceania.

6) Il fattore duo

Ritorna con prepotenza il protagonismo della coppia di turno, composta da improbabili colleghi diversi ma dal cuore generoso, impegnati nel portare a termine la loro missione (un tòpos da sempre caro alla casa d'animazione): Hiro e Baymax; la coniglietta Judd e la volpe Nick; Felix Aggiustatutto e il sergente Tamora; la graziosa Vaiana e il semidio Maui.

7) Il ritorno della "Febbre da Sequel"

Esattamente come i successi della Rivoluzione Disney avevano convinto i produttori a realizzare i vari Mulan 2, Il re leone 2, Pocahontas 2, ecc. destinati però al solo mercato Home Video, allo stesso modo è stato prodotto il sequel di Frozen, si mormora di un secondo episodio di Zootropolis (che per alcune fonti è già in produzione) e Ralph Spacca Internet.

A proposito di questo punto, c'è da precisare che la scelta di ricavare sequel dai recenti classici rientra in un piano più generico e strategico della Walt Disney Company, che con la nuova politica aziendale di Bob Iger è decisa a sfruttare al massimo i propri marchi e beni intellettuali, e che ha quindi coinvolto anche le altre divisioni della casa. Lucasfilm, Marvel e, come si è visto negli ultimi anni, anche la Pixar che ha infatti deciso dopo la fusione totale con la Disney di alternare opere originali (Inside Out, Coco) a seguiti di successi precedenti, quali Monsters University, Cars 2 e 3, Alla ricerca di Dory, Gli Incredibili 2 e Toy Story 4.

8) La supremazia della CGI

Cinque film su sette sono stati realizzati interamente al computer; dagli anni '90 fino al 2009 era successo solo in altre quattro occasioni. A tal proposito è innegabile constatare il miglioramento delle espressioni facciali dei protagonisti e come la grafica eccelsa sia capace di curare anche il più piccolo dei dettagli. Altrettanto legittimo però considerare questo ottavo punto come più debole rispetto ai precedenti, vista la larga cerchia di proseliti disneyani che, vuoi o non vuoi, continuano a restare romanticamente legati al disegno tradizionale e ai fogli lucidi del passato.

Da quasi un secolo i Classici Disney formano l'infanzia di milioni di bambini in tutto il mondo e li accompagnano lungo il loro percorso di crescita, pur senza mai aver nascosto (in modo più o meno velato) un certo rigetto nei confronti del nucleo familiare tradizionale.

Cenerentola viene cresciuta dalla crudele matrigna; Pinocchio viene "creato" da Geppetto, che lo cresce come un bimbo in carne e ossa; Aurora viene cresciuta dalle tre madrine; Dumbo viene strappato alla madre quando è ancora in fasce; l'orfano Semola de La spada nella roccia vede in Merlino la figura paterna che non ha mai avuto; la piccola Penny de Le avventure di Bianca e Bernie ha trascorso l'infanzia in un orfanotrofio; e ancora, per arrivare ai giorni nostri, Belle e Ariel cresciute solo dai rispettivi padri; il piccolo Simba costretto a vedere in diretta la morte di Mufasa; lo scavezzacollo Jim de Il pianeta del tesoro cresciuto invece solo con la madre (e abbandonato dal padre); e così via.

Gli esempi non mancano. È sempre stato il sublime paradosso disneyano: film per famiglie, ma senza la famiglia considerata tradizionale al loro interno. Questo carattere rivoluzionario e anticonformista (con qualche sporadica eccezione) è forse uno dei pochi fili rossi che collegano tutti i lungometraggi classici.

Nonostante le crisi e gli stravolgimenti temporali, comunque, la Disney non ha mai smesso di far sognare intere generazioni, riuscendo a conservare nel tempo il proprio inconfondibile tratto distintivo e a risollevarsi dalle cadute, ogni volta più forte. E nel primo decennio dei 2000, in un periodo storico in cui lo streaming e il web rendono difficoltoso il lavoro delle case cinematografiche, la Disney era forse quella che più di tutte godeva di buona salute; non solo grazie alle azzeccatissime scelte e logiche imprenditoriali del nuovo corso, impersonificato dal già citato CEO Bob Iger, ma soprattutto grazie al continuo impegno messo in campo da animatori e sceneggiatori, nel far sì che le storie raccontate potessero continuare ad andare incontro ai gusti dei più piccoli e allo stesso tempo a strizzare sempre più l'occhio al mondo degli adulti.

Ad oggi però, la Disney come la Pixar, stanno andando incontro a sempre più grandi difficoltà e stanno incassando KO tecnici uno dopo l'altro. Con gli ultimi fallimenti al botteghino (Lightyear, Strange World, e il recentissimo Elemental), la situazione di crisi in cui sono precipitate le due case appare evidente e la colpa è attribuibile da un lato a Bob Chapek, ex CEO della Disney, responsabile della grande ondata di licenziamenti che ha preso piede, e dall'altra alla nuova cultura woke.

A decidere il successo o l'insuccesso dell'arte, oggi come oggi è la generazione Z, fortemente legata ai vecchi capolavori della fase rinascimentale e allo stesso tempo acutamente attenta a che ogni categoria venga rispettata, la cultura woke ha preso il possesso del buon cinema e ogni cosa ormai deve essere inclusiva. Inside Out ha segnato la pietra miliare in questa conversazione, da un lato introducendo un nuovo mondo tutto interiore e attento ai sentimenti, dall'altro evocando questa nuova "censura" della libera creatività. 

Sia la Disney che la Pixar si sono legate a una nuova visione del mondo e della società, molto più progressista, connessa all'inclusività, alla diversità, al superamento della rappresentazione del male. I cattivi sono sostanzialmente spariti, o sono diventati dei buoni da convertire. Pixar e Disney hanno deciso di parlarci delle interazioni tra esseri umani, di problematiche emotive, di crescita, qualcosa che ha permesso al pubblico di rivedersi in storie che, oltre che naturalmente esteticamente pregevoli, si basavano su una scrittura magnifica.

Poi è arrivato un problema che entrambe hanno sottostimato: la ripetitività. Nulla rimane uguale, tutto cambia, vale per il pubblico e vale per l'industria. Appare quasi ironico, se non addirittura paradossale, che proprio loro, che del cambiamento hanno fatto una bandiera (molto meno centrale per necessità di cassa di quanto si creda) non abbiano ricordato il vecchio adagio: ciò che ieri era rivoluzionario, domani diventa prevedibile e scontato.

Pixar e Disney, oltre a ripetere all'infinito la stessa formula, hanno cominciato a fare dei loro film animati non una scatola di divertimento, emozioni, colori e dinamismo, ma dei mattoni pedagogici e paternalisti. I loro concorrenti più noti, tra cui i colossi orientali che parlavano di introspezione decenni fa, sorprendono sempre, sanno divertire. Soprattutto hanno il coraggio di riportare il male al centro delle loro storie con dei villain non da nulla, amano tenebra e luce, sono irriverenti, connessi a un'idea di racconto non più all'acqua di rose. Per il pubblico questo significa dinamismo, novità, sorpresa rispetto a ciò che hanno avuto negli ultimi anni e per i due colossi il futuro appare veramente poco roseo.

La domanda che ora tutti ci poniamo è: riusciranno queste due case a risollevarsi dalla penombra in cui stanno lentamente decadendo? Riusciremo ad avere un nuovo Rinascimento e una nuova rinascita? Resta tutto da vedere.