LA HAINE
Questa è la storia di un ragazzo che cade da un palazzo di 30 piani, ad ogni piano ripete: "fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene". Il problema non è la caduta ma l'atterraggio.
Durante gli scontri tra giovani e polizia un ufficiale perde la pistola, e Abdel, un ragazzo del quartiere, rimane gravemente ferito dopo un fermo. In una situazione già tesa questi due eventi rischiano di far traboccare il vaso di una Parigi in rivolta.
Ambientato nelle banlieue parigine questo film mostra una giornata nella cruda realtà di periferia con Said, Vinz e Uber, tre amici che tirano avanti come possono, spinti dalla fame, dalla rabbia e da un forte bisogno di riscatto.
La pellicola in bianco e nero riflette perfettamente la vita che si spegne nella periferia nonostante essa sia un centro pulsante di socialità. Un paradosso intenso questo film che ci mostra la realtà del nostro mondo, triste, degradata, ingiusta ed in bianco e nero.
Said è il ragazzo buffo, sempre una battuta pronta anche se quasi mai fa ridere, racconta storie impensabili, conosce tutti, ed è fratello di Nadir, uno che conta. E' un po' il collante del gruppo.
Vinz è quello irascibile, sempre pronto a ficcarsi nei casini, arrabbiato e incosciente.
Uber invece è quello furbo, fa le mosse, conosce gente, è calmo e lungimirante, come dice lui "conosce il limite".
Tra amici, fumo, hip hop, questioni di soldi, sbirri e tanta voglia di camminare, la giornata passa ma la situazione rimane sempre la stessa, anche se tre ragazzi come loro vorrebbero cambiare le cose. Il film scorre a ritmo d'orologio e come in una clessidra ad ogni rintocco la fine sembra sempre più vicina.
Le forze dell'ordine
Il realismo del film colloca subito le cosiddette "forze dell'ordine" tra gli antagonisti, mostrandone varie sfaccettature concrete, poliziotto buono, poliziotto cattivo, poliziotto stupido e poliziotto aggressivo.
Le forze del disordine, come piace chiamarle a me, hanno il compito di vitale importanza di mantenere la città sicura e far sentire le persone al sicuro, cosa che fanno sempre meno; però d'altro canto sono sempre pronti a far girare l'economia guidando senza una meta, tanto la benzina la paghiamo noi, in cerca di un bar in cui il caffè sia ottimo. A volte si disturbano a fermare qualche criminale sempre se riescono a trovarne il tempo, hanno un agenda fitta loro, non si può pretendere che prendano un criminale prima del krafen mattutino.
Lasciando l'ironia nel paragrafo precedente mi permetto di sottolineare solo alcuni degli aspetti che mi vedono perplesso riguardo questo tema. Le forze dell'ordine detengono il potere giudiziario, in particolare grava loro il potere e dovere di far rispettare le leggi, e di rappresentare la giustizia. Ora, come può un popolo non essere violento se chi deve assicurarsi che le persone non siano violente agisce violentemente? Come può un popolo essere giusto se chi rappresenta la giustizia è ingiusto? Certo è ingiusto anche che, come spesso accade, le forze di polizia divengano il capro espiatorio di uno stato marcio fino alla radice e che si addossino tutto l'odio dei cittadini giustamente arrabbiati che per ignoranza reagiscono violentemente. Ma, se la criminalità può essere giustificata, la condotta dei poliziotti no. Entrambe sono un ostacolo al quieto vivere, ed esse si nutrono a vicenda, senza l'una non può esserci l'altra per questo nessuno vuole cambiare le cose.
CHI DIMENTICA E' COMPLICE.
Gli ultimi nel museo
Un altro nemico della periferia è l'alta società, che vive completamente un'altra Parigi, distante qualche fermata del treno dove il mondo sembra completamente differente, beneducato ma anche altezzoso. L'alta società si incarna qui nel museo.
Il museo è sempre stato lungo la storia il luogo dove si esibisce il potere e qui simbolicamente diviene la casa dei ricchi, di chi ha il tempo per fissare degli oggetti appesi ai muri, del quale Said dirà: "che schifo". Sembra quasi che gli abitanti del museo siano agli occhi dei nostri tre ragazzi come cittadini di un altro mondo, che non conoscono i problemi, la fame, la povertà ma in compenso conoscono l'arte.
Quest'iperbole del museo riflette perfettamente non tanto il museo ma come viene percepito dagli "ultimi", un qualcosa di lontano che non gli appartiene e che nemmeno li vuole. Buffo perché al giorno d'oggi è proprio il contrario, nei musei si parla molto di inclusività, a volte per moda a volte concretamente, certo è che non basta voler essere inclusivi, bisogna innanzitutto comunicare.
In ultima istanza ricollegandomi a ciò che dicevo prima ci tengo a specificare che è un'iperbole anche dire che chi abita il museo conosce l'arte. Questa riflessione richiede tempo e spazio che qui non può trovare, mi limito a sottolineare che il museo vive di una retorica fondata sull'opera d'arte, concetto che io credo necessiti di essere ripreso e ricontestualizzato.
Darsi un limite
Ci sono due momenti contrastanti insieme opposti e convergenti in cui si parla di darsi un limite, uno quando Uber e Vinz discutono e Uber dice che la differenza tra loro due è che lui conosce il limite. L'altro quando, fermati dalla polizia, Said e Uber vengono maltrattati verbalmente e fisicamente, e uno dei due poliziotti, mentre mostra alla matricola come ci si comporta con chi è in stato di fermo gli, dice: "l'importante è controllarsi, non innervosirsi".
Entrambe fuori dal limite esterno queste due situazioni si trovano agli antipodi, Uber sa che è fuori dal limite della legge ma sa quale è il suo limite interno, la sua etica e non ha intenzione di infrangerlo. Gli sbirri invece, anch'essi fuori dal limite della legge, non voglio infrangere il limite fisico, meglio detto, vogliono fare loro del male senza lasciare segni evidenti di modo che nessuno possa accusarli.
VALUTAZIONE: ★★★★★★★★★★
Un gran film, da qualunque punto lo si voglia analizzare. Molto probabilmente il capolavoro di Kassovitz che considero un film di formazione, di quelli che andrebbero visti e discussi in classe.
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