La caccia, o un'apologia della bellezza della morte

07.01.2025


I.

La cerbiatta sbottona i suoi arti nel calore estivo.

Ogni pezzo che si dischiude come un raggio di luce.

Spinge il suo ventre al sole.

Se potessi la trafiggerei con una freccia.




II.

Nel silenzio della notte i rumori della selva mi circondano.

La civetta occhio-svelto e la lince dal manto di pietra.

Ululano e mi chiamano.

Gli alberi mi parlano.

(Non conosco la loro lingua)

Lascio che i rovi mi abbraccino.

Sanguino, e piango, e così

Nutro la foresta.




III.

Passi veloci, tonfi nell'acqua.

Corre il cacciatore, corre la cerva.

Sono uniti da un filo in questa macabra danza della morte.

Chi vuole un bottino, chi vuole un ritorno.

Schizza il fango e i passi si fanno più fondi.

La distanza si accorcia e il filo si arrotola.

Posso quasi toccarla, la morte e la vita.




IV.

È giorno di caccia.

Infilo gli stivali e imbraccio le armi.

La camminata è lunga e sotto il sole, ma non temo la fatica.

Conto i miei passi e canto una canzone.

Arrivo allo spiazzo, appoggio il mio fucile.

Mi posiziono e aspetto.

Passano le ore ed ecco un cucciolo.

Di solito non sparo ai cuccioli, ma questo sembra cattivo.

So che non è cattivo, ma è più facile se mi convinco che lo sia.

Prendo la mira e sparo.

Cade a terra, sento il grido di sua madre.

Parla una lingua che non è la mia, ma so che grida il suo dolore.

Gli solleva la testa e gli bacia le palpebre.

Raccolgo le mie cose e torno alla base.

Faccio rapporto al mio comandante di plotone.

"Ottimo lavoro" mi dice.

Domani è un nuovo giorno.




V.

Il suo cranio aperto è ai miei piedi.

Una pozza di sangue.

Mi inginocchio sulla sua carcassa e mi nutro della sua carne.

Omicidio, dice la mia coscienza.

Sopravvivenza, il mio stomaco.



R.C.