Il narcisismo dei punti

17.12.2024

Il punto in origine è puro narcisismo, pensiamo ad esso in parallelo al feto. Il feto si sviluppa in un ambiente caldo, sicuro, confortevole, in cui tutto ciò di cui ha bisogno perviene a lui tramite la madre, ed è perciò assolutamente passivo, chiuso in sé. Quando il feto è abbastanza maturo (reso tale dal nutrimento/stimoli esterni e dalla crescita/stimoli interni) arriva il momento del parto, e la madre espelle il bambino interamente formato in un mondo a lui sconosciuto. Il punto quindi passa da un ambiente in cui la sua attenzione è unicamente rivolta a se stesso e in cui i suoi bisogni vengono soddisfatti automaticamente dalla madre, in un mondo ricco di stimoli che fin dal primo secondo lo investono e turbano la sua quiete. Il punto quindi passa dal concentrarsi solo su se stesso a doversi concentrare su se stesso e sul mondo che lo circonda. Si perde così il narcisismo assoluto originario.

Il narcisismo del punto ora deve far pace con l'esistenza del mondo esterno, più semplicemente dell'altro. Accetta la sua esistenza e vuole proteggersi da esso, ma insorge un nuovo problema economico: i suoi bisogni interni non vengono più soddisfatti in automatico ma devono essere soddisfatti all'esterno del punto, dalla madre. Perciò il punto deve uscire da sé per trovare ciò che vuole nell'altro, cessa così di essere assolutamente passivo, e diviene narcisisticamente attivo per necessità di sopravvivenza. Freud questo lo chiama narcisismo primario.
Questo narcisismo viene lentamente abbandonato per dare spazio ad una scelta oggettuale diretta che inizialmente trova meta nella madre e solo successivamente, con la pubertà per il maschio e con il complesso edipico per la femmina, viene indirizzato verso altre mete.

Gli impulsi che si generano all'interno del punto sono di due tipi: uno di morte e uno libidico. L'impulso di morte è a grandi linee la volontà narcisistica del punto di ritornare allo stato inorganico iniziale dove regnava il narcisismo assoluto originario; questo impulso trova la scarica sotto forma di aggressività tramite lo sfogo muscolare. L'impulso libidico invece è il desiderio di vita del punto che vorrebbe prolungare il più a lungo possibile l'inevitabile ritorno allo stato inorganico; questo impulso trova la scarica nella sfera della sessualità, anch'esso tramite il sistema muscolare.
Per usare parole più semplici, è come se il punto fosse indeciso: da una parte viene turbato dagli stimoli esterni e vuole tornare allo stato di quiete assoluta del suo puro narcisismo e lo può fare solo tramite la morte, dall'altra invece gode della stimolazione che gli impulsi esterni del mondo provocano alla sua superficie sensibile ed organica e vorrebbe prolungare questo fastidioso piacere il più a lungo possibile. L'orgasmo è l'esempio perfetto per spiegare questa situazione di indecisione: una volta stimolato l'organo sessuale l'obiettivo è quello di finire e tornare così allo stato di quiete dell'organo, ma allo stesso tempo c'è il desiderio di prolungare il più possibile questo stato di piacevole turbamento che si è creato.

Questo ambiguo equilibrio tra la volontà di tornare ad uno stato inorganico e la volontà di prolungare il turbamento della vita mi sembra possa giustificare la tendenza del punto alla socialità. Se è vero che la socialità comporta una subordinazione/alienazione del soggetto allora forse socializzare è il modo più efficace per tornare ad uno stato simile all'inorganico rimanendo comunque in vita. La cellula è viva nel tessuto ma è subordinata ad esso, assume un ruolo pratico-funzionale. L'uomo, che difficilmente riesce a socializzare in maniera profonda, ossia creando delle connessioni, ha comunque trovato il suo modo per coniugare queste due spinte che lo muovono, nel lavoro. 
Nel sistema capitalistico l'operaio si aliena al suo lavoro, diviene una parte di un processo, un ingranaggio della macchina. La differenza tra il lavoro e ogni altro tessuto di punti è che, per esempio, nella foresta ogni organismo si subordina alla foresta, è la foresta il punto centrale e gli organismi che la compongono e la popolano vivono la loro vita svolgendo una funzione pratica nel preservarla, e così essa accoglie, nutre e protegge tutti loro. Nel lavoro invece non è il lavoro o l'azienda ad essere il punto centrale, perché al di sopra di essa sta il proprietario, e sopra ad esso i soldi: nel lavoro ci sono punti che si subordinano e punti che ordinano, per questo definiamo il lavoro un tessuto sociale imperfetto. Il lavoro nella forma più pura dovrebbe essere la società, ma anche la società è un lavoro imperfetto perché anche lì alcuni si subordinano e altri ordinano. Se mai fosse possibile ottenere un lavoro, anche piccolo, quello sarebbe un punto di partenza per trovare altri lavoro, perché la finalità prima del punto è socializzare, perciò il lavoro cercherebbe un altro lavoro e proverebbero a comunicare. Una certezza è che un lavoro non può pensare di non dialogare con gli ecosistemi in cui vive. E' un dato di fatto che l'uomo in quanto dotato di parola e di autocoscienza farà sempre molta fatica ad adeguarsi alle regole dell'ecosistema, perciò il lavoro difficilmente sfumerà fino a divenire parte dell'ecosistema in cui si articola, ma entrambi devono dialogare, il lavoro in questo senso è come una declinazione umana dell'ecosistema. E se lo facessero, se gli ecosistemi naturali e antropici riuscissero a dialogare, finalmente avremmo un pianeta. E una volta ottenuto un pianeta esso dovrebbe cercare un altro pianeta, per esigenze narcisistiche, e finalmente si aprirebbe a noi l'enigmatico e affascinante universo... Probabilmente da qualche parte ci sono già altri pianeti che non vedono l'ora di socializzare con noi, aspettano solo che il nostro pianeta sia pronto, e temo che la loro attesa non verrà ripagata.