Eraserhead - La mente che cancella

10.02.2025
“Eraserhead – La mente che cancella” è un film sperimentale che vede per la prima volta lo stile surreale e disturbante di David Lynch in un lungometraggio.
Il famoso regista aveva girato solo alcuni cortometraggi, ma nel 1977 ottenne i finanziamenti per girare il suo primo film da un’ora e mezza. Un tempo più che sufficiente per narrare una storia, trasmettere emozioni e comunicare un senso di angoscia perturbante.  


La trama è piuttosto semplice: il tipografo in ferie Henry Spencer scopre che Mary, la sua ragazza, è incinta e di colpo si ritrova a vivere in un piccolo appartamento con moglie e figlio.
Il bambino è deforme e, quando Mary abbandona la famiglia, per Henry comincia il vero incubo, che si conclude con la morte del bambino per mano del protagonista.

Se la trama non è complessa, lo è tutto il resto. Il simbolismo, le inquadrature, personaggi ambigui: tutti elementi che rappresentano ciò che c’era nella mente di Lynch… una mente follemente geniale.
Ogni inquadratura, ogni dettaglio, ogni sguardo dei protagonisti trasmette disagio, smarrimento e ti lascia perturbato; da spettatore ho sentito un’angoscia stringente che mi ha fatto sentire inquieto. E non solo per gli effetti splatter di certe scene, ma per come lo sviluppo della trama rallenta di colpo, in maniera imprevedibile, destabilizzandomi.
Abituati all’andamento dei film moderni, ormai tutti siamo in grado di prevedere quello che sta per accadere (guardate per esempio quanto spesso sono prevedibili i jumpscare nei film horror), ma Lynch ci toglie la sedia da sotto il sedere e ci lascia nell’incertezza: non sappiamo cosa aspettarci, non sappiamo quindi dove andare con la mente… non ci resta che stare seduti ad ascoltare e sperare che le cose non vadano male.
Senza la sicurezza di un finale prevedibile siamo più fragili, perché ci tocca sperare davvero che qualcosa di bello accada, invece che darlo per scontato.


“Unheimlich = sensazione che si sviluppa quando una cosa (o una persona, un'impressione, un fatto o una situazione) viene avvertita come familiare ed estranea allo stesso tempo, scatenando generica angoscia unita ad una spiacevole sensazione di confusione ed estraneità.”


David Lynch aveva ben chiaro il tema del film: l’angoscia della paternità.
Henry è un protagonista insolito ma che fin da subito mostra la sua incapacità di affrontare la vita. Quello che fa sembra normale ma è solo un tentativo di copiare qualcun altro. Nella sua stanza ci sono oggetti senza senso e le sue reazioni sono surreali, quasi sconnesse con quello che sta accadendo.
Henry è un po’ come un bambino che cerca di imitare gli adulti: ci riesce solo in apparenza.
Il regista, tramite Henry, parla di un uomo qualsiasi che non si sente all’altezza della situazione, che a stento riesce a fare una vita normale. Eppure, d’un tratto, diventa padre, gli tocca sposare Mary e convivere con un bambino che in realtà è deforme, quasi non umano (si dice che sul set abbiano utilizzato un feto di vitello imbalsamato).
L’uomo medio, con tutte le sue difficoltà, mai avrebbe cercato volutamente questo risvolto. D’altronde spesso diventare genitori è qualcosa di imprevisto che sconvolge la vita di una persona.
Il bambino è mostruoso, grottesco, ripugnante perché rispecchia quello che Henry prova nei suoi confronti. Già aveva mille problemi, ora le cose non vanno meglio e tutto a causa del piccolo.
Quando Mary abbandona Henry le cose peggiorano, non solo per la salute mentale di Henry (che comincia a fare sogni allucinanti tremendi) ma anche per il figlio, che si ammala gravemente.
Tutto diventa una metafora della paura, dell’angoscia di diventare padre. Isolandosi, Henry ha solo peggiorato la sua situazione e alla fine non resiste a questa sensazione, finendo per uccidere il figlio.

Un film strano, certo, ma che riesce a rimanere coerente con l’Unheimlich, il perturbante che David Lynch rincorrerà per tutta la vita.
I ritmi narrativi sono lentissimi, d’altri tempi, e alcune scene di difficile interpretazione possono allontanare l’attenzione dello spettatore. Non essendo un film facile, non è da prendere sotto gamba e da guardare a mente spenta: si deve stare concentrati, vivere tutta l’angoscia e osservare ogni dettaglio.
Eppure il tema è così chiaro che si attende la fine solo per dire: “Avevo ragione. L’ho subito capito.” ed essere contenti.