Barbie

04.03.2024

Un inno femminista o l'ennesimo prodotto del capitalismo?

Barbie, l'ultimo lavoro della regista statunitense Greta Gerwig, campione al box office con quasi 1,5 miliardi di incassi, ha suscitato tra le più disparate reazioni. Per alcuni un inno al femminismo moderno, per altri un riscatto della tanto critica "bambola perfetta", per altri ancora l'ennesimo frutto del capitalismo hollywoodiano, ma cosa è davvero?

Forse una cosa può non escludere necessariamente l'altra, ma per questo dobbiamo analizzare tutti gli aspetti, negativi e positivi. Partiamo dalla regia, Greta Gerwig dimostra ancora una volta le sue abilità come regista, e in special modo come regista donna, riesce a creare un "universo rosa", abitato da bambole senza passioni e desideri, e riesce a non farlo sembrare vuoto, in modo particolare guida i suoi attori protagonisti, Margot Robbie e Ryan Gosling, in delle performance spettacolari, specialmente Ryan Gosling che si riconferma, nella mia opinione, uno dei migliori attori comici degli ultimi anni.

Inoltre, Greta Gerwig riesce a portare luce sulle tematiche femministe più dibattute negli ultimi anni, dalla minima presenza femminile nei ranghi alti delle grandi società all'ideologia della "barbie nazista" che è simbolo di aspettative e stereotipi femminili che, come società, ci trasciniamo dietro da anni. Ovviamente non ci possiamo aspettare una profondità o un'analisi politica della condizione della donna che ci aspetteremmo per esempio da un film di Varga, ma nella sua leggerezza Barbie fornisce degli spunti e dei riferimenti che tutti, persino i bambini, possono comprendere e assimilare.

Dall'altra parte non possiamo non tenere conto di quello che non "funziona" a pieno nel film, prima di tutto Mattel. Sia la sua parte come coproduttore del film, e di conseguenza i benefit lucrativi che la compagnia ottiene dal film, senza contare l'enorme pubblicità che ne deriva a seguire, sia la sua presenza stessa nel film, simboleggiata da una schiera di CEO maschi che in nessun modo perdono il loro potere alla fine del film.

Altra problematica è il ruolo dei ken nel mondo delle barbie, all'inizio del film i ken sembrano essere dei meri accessori delle barbie, non hanno né un posto né un ruolo che non sia quello di esistere all'ombra di Barbie, non a caso quando Ken (Ryan Gosling) si avventura nel mondo reale con Barbie (Margot Robbie) e viene a conoscenza del patriarcato ne rimane affascinato e riporta questa nuova ideologia indietro trasformando il mondo delle barbie nel mondo dei ken, in cui i ruoli sono invertiti e le barbie devono servire i ken. Nel finale del film, quando le barbie restaureranno il loro mondo, faranno qualche cambiamento per includere i ken e per restituire loro una qualche personalità e individualità, ma il loro ruolo continuerà a essere marginale.

Se vogliamo spostarci su un piano ancora più ontologico, mentre nel mondo di Barbie le cose sembrano mettersi a posto e anzi quasi migliorare, nel mondo reale niente cambia, tutto rimane uguale e la novità si sposta dalla società al singolo, sarà Barbie, nuovo membro della vita reale, a dover imparare a sopravvivere in questo nuovo strano mondo, e a tentare di migliorarlo.

Quello che ne risulta è un'opera variegata e dibattuta, ha dalla sua lati positivi e lati negativi, ma senza dubbio resta un film molto ben fatto, intelligente e ironico, con un intento nobile che forse non sempre è riuscito e con degli aspetti controversi che sicuramente potevano essere gestiti diversamente.

Consiglio a ognuno di vederlo per formare la propria opinione, specialmente ai miei lettori di sesso maschile, a cui chiedo di astenersi dal giudicare a priori senza aver visto cosa possa o non possa offrire questo film che vi ricordo essere non un trattato di filosofia etica e morale, ma una commedia, e quindi da godersi come tale.

La barbie

Terminato il dibattito sul film, mi piacerebbe spendere due righe per concentrarmi sulla barbie come giocattolo e sull'influenza che ha e può avere su bambini e bambine. Barbie è forse il giocattolo più famoso al mondo, la barbie originale, e quella che tutti conosciamo, è una giovane donna bianca dai capelli biondi e gli occhi azzurri con un corpo da copertina, insomma il prototipo dello 0,1% delle donne esistenti. L'invenzione della barbie è stata rivoluzionaria, fino alla sua creazione nel 1959 le bambine giocavano con i bambolotti, immedesimandosi già nel ruolo di madre, ma Ruth Handler capì che sua figlia e le sue amiche non volevano una bambola da accudire, ma una bambola in cui rivedersi e fu così che nacque Barbie, dal nome della figlia di Ruth, Barbara.

Barbie era un simbolo di emancipazione per le donne, che si allontanavano dal ruolo imposto di madri per diventare individui liberi e senzienti, questo fino ai primi anni 2000 quando arrivano le barbie fashion models e da donna emancipata Barbie si trasforma in "ragazza superficiale e alla moda". Barbie diventa il nuovo incubo delle femministe, un corpo vuoto casa di una serie di stereotipi che gli uomini attribuiscono alle donne (tutte apparenza, senza cervello, senza interessi che non siano il trucco e la moda) e casa di nuove insicurezze che le donne aggiungono al repertorio (corpo e estetica).

Negli ultimi anni Mattel ha sfornato nuove barbie sempre più a passo con i tempi, soprattutto per non rischiare di essere linciati dalle nuove generazioni figlie di questa "fase woke", ma la domanda ora è: cosa percepisce una bambina a cui viene regalata una barbie fresca di produzione? Vede davanti a sé milioni di possibilità e strade aperte per inseguire i propri sogni o dei meravigliosi capelli biondi, una pancia piattissima e un bel paio di tette che non potrà mai avere? Sicuramente il lavoro di Mattel si sta spostando in una direzione sempre più inclusiva che spero migliorerà sempre più con il tempo, ma se chiedete a me la Barbie che immagino è lo specchio della donna perfetta che non sarò mai, la mia speranza quindi è che le bambine di oggi e del futuro siano ben più coraggiose di noi e più libere di sognare e di rivedersi in qualsiasi Barbie preferiscono.

di Rebecca Carminati